IL TRIBUNALE

    Sentite le parti, osserva quanto segue.
    1.  - Risulta dagli atti che l'imputato Caceres Christiansen Hugo
Enrique,  nato a Conception (Cile) il 1° agosto 1972 e gia' residente
in  Madrid (Spagna) in Strada Recaredo n. 6/3I, e' stato catturato in
Spagna  in  data 15 giugno 2005, a seguito di procedura di mandato di
arresto europeo ex lege n.  69/2005, per essere consegnato all'Italia
e tratto formalmente in arresto una volta ivi giunto all'aeroporto di
Fiumicino   in   data   15 luglio   2005,   il  tutto  in  esecuzione
dell'ordinanza di custodia cautelare in carcere emessa anche nei suoi
confronti  dal  g.i.p.  presso  questo  Tribunale  di  Bari  in  data
4 febbraio 2004.
    Ebbene,  con  l'istanza  pervenuta  in  data  30 agosto  2006, il
giudicabile  sostenne  che  il  termine  di fase della durata massima
della  custodia  cautelare  in  carcere,  cui  lo  stesso  e' tuttora
soggetto,  - termine pari ad un anno ai sensi dell'art. 303, comma 1,
lettera a) n. 3, c.p.p. in relazione ai delitti ascritti al Caceres -
sarebbe  spirato,  facendo  riferimento  come dies a quo al 15 giugno
2005,  data  della  sua cattura in Spagna (tanto in effetti si evince
con  certezza  sia  dallo  stralcio  del provvedimento dell'Audiencia
Nacional, Sala de lo penale, Seccion Segunda, in allegato all'istanza
del  detenuto  pervenuta a questo ufficio in data 30 agosto 2006, sia
dal  prospetto  della  Divisione  S.I.RE.N.E. Italia in allegato alla
nota  del  direttore  della  5ª  Divisione Interpol in data 16 giugno
2006).
    2.  -  Osserva,  pero',  questo  g.u.p. che la fattispecie non e'
regolata  dalla  norma  di  carattere  generale  di  cui all'art. 722
c.p.p.,  dettata  per  regolare  gli effetti della custodia cautelare
all'estero nell'ambito della procedura di estradizione dall'estero.
    Tale disposizione del codice di rito penale, in effetti, per come
risultante   a   seguito   della   sent.   n. 253/2004   della  Corte
costituzionale,  stabilisce  ora che la custodia cautelare all'estero
in  conseguenza di una domanda di estradizione presentata dallo Stato
e'   computata,  non  solo  agli  effetti  della  durata  complessiva
stabilita dall'art. 303, comma 4, c.p.p., ma anche agli effetti della
durata  dei  termini di fase previsti dallo stesso articolo, ai commi
1, 2 e 3 (fermo sempre quanto previsto dal successivo art. 304, comma
4, c.p.p.).
    Invece,   l'art. 33,   legge   22 aprile   2005,  n. 69,  recante
Disposizioni  per conformare il diritto interno alla decisione quadro
2002/584/GAI  del  Consiglio, del 13 giugno 2002, relativa al mandato
d'arresto  europeo  e  alle  procedure  di consegna tra Stati membri,
sotto  la rubrica «Computabilita' della custodia all'estero», recita:
«1.  Il  periodo  di  custodia cautelare all'estero in esecuzione del
mandato  d'arresto  europeo  e'  computato ai sensi e per gli effetti
degli articoli 303, comma 4, 304 e 657 del c.p.p.».
    Per  quanto  all'inizio  si  e'  precisato, poiche' la «procedura
attiva  di  consegna»  dalla  Spagna all'Italia che ha interessato il
Caceres  e'  stata assoggettata al regime della citata legge relativa
al  c.d.  mandato  di  arresto europeo, e' unicamente alla previsione
teste' riportata che occorre fare riferimento in subjecta materia.
    Vero  e',  infatti,  che  l'art. 39 legge n. 69/2005, al comma 1,
prevede  che:  «Per  quanto  non  previsto  dalla  presente  legge si
applicano  le  disposizioni  del  codice  di procedura penale e delle
leggi   complementari,  in  quanto  compatibili».  Tuttavia,  sarebbe
improponibile nel caso di specie un'applicazione dell'art. 722 c.p.p.
per  la  sola  parte  in  cui,  a  seguito  del richiamato intervento
additivo  della Corte costituzionale, estende la valorizzazione della
custodia  cautelare,  sofferta  all'estero prima della consegna dello
stato  richiedente l'estradizione, anche ai fini dei termini indicati
ai commi 1, 2 e 3 dell'art. 303 c.p.p.
    L'art.  33,  legge  n. 69/2005,  infatti, si configura come norma
speciale  rispetto  a  quella  contenuta nell'art. 722 c.p.p. e che -
come  gia'  risulta dalla sua rubrica - detta una disciplina completa
della   materia   della   computabilita'   della  custodia  cautelare
all'estero,  in  parte  sovrapponibile  a quella risultante dal testo
dell'art.  722  cit. previgente rispetto alla sentenza costituzionale
n. 253/2004,  ed  in parte piu' ampia di essa laddove richiama l'art.
657  c.p.p.,  in tema di computo in fase di esecuzione della custodia
cautelare e delle pene espiate senza titolo.
    Si  tratta,  percio',  di  norma non suscettibile di integrazioni
esogene  ad opera della norma di carattere generale sancita dall'art.
722  c.p.p.,  in  quanto  nel  suo  letterale  tenore, che non sembra
prestarsi  ad  interpretazioni manipolatorie, richiama esclusivamente
il   comma  4  dell'art. 303  c.p.p.,  circa  la  durata  complessiva
insuperabile  della  custodia,  e  non anche i precedenti commi dello
stesso articolo.
    3.  -  D'altro canto, non e' neppure sostenibile con certezza che
il  dettato  normativo  in  esame  sia stato il risultato di una mera
dimenticanza,  da  parte  del  legislatore, di quanto non molto tempo
prima dell'entrata in vigore della legge n. 69/2005 aveva statuito la
Corte  costituzionale  nell'intervenire  sull'art. 722  c.p.p.,  onde
l'art. 33  cit.  potrebbe  essere  interpretato in modo correttivo, e
cioe'  conforme  ai  principi delineati dal Giudice delle leggi nella
piu' volte richiamata sent. n. 253/2004.
    Infatti,  la  norma nazionale specifica sembra trarre origine dal
disposto  di  cui  al  par.  1  dell'art. 26  della  decisione quadro
2002/584/gai  del  Consiglio  dell'Unione  europea  in data 13 giugno
2002,  nel  punto  in  cui  si  riferisce  al «periodo complessivo di
custodia   che   risulta  dall'esecuzione  di  un  mandato  d'arresto
europeo»,  adottando  un modo di esprimersi che, sul piano letterale,
meglio  si  attaglia  appunto al nostro istituto interno della durata
«complessiva»  massima  della custodia cautelare di cui all'art. 303,
comma 4, c.p.p.
    In tal senso, allora, non appare affatto condivisibile l'opinione
dottrinale secondo la quale la stessa decisione quadro autorizzerebbe
con  l'ampia  formulazione del disposto teste' richiamato una lettura
ampia della nozione di deducibilita', idonea a ricomprendere anche il
computo  dei  termini  di fase, superando in tal modo le incongruenze
del  precedente  sistema  estradizionale  che non sempre garantiva la
possibilita' di dedurre dal totale della pena il periodo trascorso in
stato di custodia dovuta all'estradizione.
    4. - In definitiva il dettato dell'art. 33 cit. pare insuperabile
laddove, nella sua formulazione letterale, esclude la possibilita' di
computare  la  custodia  cautelare  all'estero ai fini dei termini di
fase ex art. 303, comma 1, c.p.p.
    Se cosi' e', quindi, si pone come non manifestamente infondata la
questione  di  legittimita'  costituzionale  dell'art. 33 cit., nella
parte  in  cui  non  prevede  che la custodia cautelare all'estero in
conseguenza di una domanda di estradizione presentata dallo Stato sia
computata  anche  agli  effetti  della  durata  dei  termini  di fase
previsti dall'art. 303, commi 1, 2 e 3 c.p.p.
    In  proposito,  non  appare  fuor di luogo ricordare che la Corte
costituzionale,  nella  richiamata  sentenza  21 luglio 2004, n. 253,
aveva  cosi' fondato la declaratoria di illegittimita' costituzionale
dell'art. 722 c.p.p.: «1. La questione di legittimita' costituzionale
sollevata  dalla  Corte  di  cassazione ha per oggetto l'art. 722 del
codice  di  procedura  penale,  nella  parte  in  cui  prevede che la
custodia cautelare subita all'estero in conseguenza di una domanda di
estradizione  presentata  dallo Stato italiano non rileva ai fini del
computo dei termini di fase.
    La  Corte  di cassazione rimettente - chiamata a pronunciarsi sul
ricorso  di un imputato che, essendo stato detenuto all'estero a fini
estradizionali  dal 29 marzo 1999 al 9 gennaio 2003, aveva chiesto la
scarcerazione per decorrenza del doppio dei termini di fase a seguito
del  regresso  del  procedimento,  deducendo la violazione degli art.
303,  304  e  722 cod. proc. pen. - rileva che, secondo la sua stessa
giurisprudenza,  la  detenzione  subita  dal  cittadino all'estero e'
computata  ai  soli  effetti  della durata complessiva della custodia
cautelare,  e  non  anche dei termini di fase, in base al presupposto
che  la  situazione  del  soggetto  detenuto  all'estero in attesa di
estradizione  non  e'  equiparabile  a  quella di chi e' sottoposto a
custodia   cautelare   in   Italia.   Alla  luce  di  tale  indirizzo
giurisprudenziale,  secondo  la  Corte  di  cassazione  il doppio dei
termini  di fase dovrebbe essere calcolato a far tempo dal momento in
cui  il  detenuto  ha «varcato la soglia di un istituto penitenziario
italiano»,  e  pertanto  al caso in esame non sarebbe «pacificamente»
applicabile  la disciplina relativa al computo dei termini di fase in
caso  di regresso del procedimento, secondo l'interpretazione seguita
dalla Corte costituzionale a partire dalla sentenza n. 292 del 1998.
    La  norma  censurata,  interpretata  nel  senso che la detenzione
all'estero  non  rileva  ai  fini del computo dei termini di fase, si
porrebbe  quindi in contrasto con i principi di cui agli artt. 3 e 13
della Costituzione.
    2. - La questione e' fondata.
    3. - Il testo attualmente in vigore dell'art. 722 cod. proc. pen.
e' frutto delle modifiche introdotte dall'art. 10 del decreto-legge 8
giugno 1992, n. 306, convertito nella legge 7 agosto 1992, n. 356. Il
testo  originario  prevedeva  che  la  detenzione  all'estero  a fini
estradizionali  fosse computata nella durata della custodia cautelare
secondo  le  regole generali, e quindi anche ai fini della decorrenza
dei  termini  di  fase,  ferma restando la sospensione nella fase del
giudizio  durante  il  tempo  in  cui il dibattimento fosse sospeso o
rinviato  per impedimento dell'imputato (tale ritenendosi, secondo la
relazione  al Progetto preliminare del codice, la carcerazione subita
all'estero  a  seguito  di  una  domanda di estradizione), nonche' la
proroga  prevista  dall'art.  305  cod.  proc.  pen.  ove la custodia
dell'imputato  nel  territorio  dello  Stato  fosse necessaria per il
compimento di attivita' probatorie.
    Nella  relazione  al decreto-legge n. 306 del 1992 il computo del
periodo   di   detenzione   all'estero  solo  ai  fini  della  durata
complessiva  della  custodia cautelare e' giustificato dal «fatto che
le  fasi  precedenti  alla  procedura  di  estradizione sfuggono alla
disponibilita'  dello Stato italiano» e che da vari paesi che offrono
all'Italia  cooperazione  internazionale  era «venuta la richiesta di
poter  usufruire  di maggior tempo per lo svolgimento delle procedure
estradizionali».
    Sebbene la nuova disciplina sia stata oggetto di critiche perche'
avrebbe  privilegiato  le esigenze processuali a scapito della tutela
della  liberta' personale, la giurisprudenza di legittimita' ne ha in
piu' occasioni sostenuto la «ragionevolezza», rilevando che la durata
della  detenzione  non  e'  ricollegabile  all'inerzia dell'autorita'
giudiziaria  nazionale,  ma  deriva da una situazione volontariamente
creata dalla persona sottoposta alle indagini, rifugiatasi o comunque
trasferitasi all'estero.
    L'art. 15 della legge 8 agosto 1995, n. 332, ha poi integralmente
sostituito  l'art.  304  cod.  proc.  pen.,  nel cui comma 6 e' stata
collocata la disciplina del termine finale complessivo della custodia
cautelare  (prima  contenuta  ne  comma  4, oggetto di richiamo nella
norma impugnata) e sono stati introdotti i termini finali di fase. La
giurisprudenza   di   legittimita'   non   ha   peraltro   modificato
l'interpretazione dell'art. 722 cod. proc. pen., giungendo in un caso
ad  affermare  espressamente  (Cass., sez. VI, sentenza n. 555 del 22
settembre 2000) che il richiamo operato da tale norma al comma 4 (ora
6) dell'art. 304 cod. proc. pen. si sostanzia in un rinvio ricettizio
(o  materiale)  al  contenuto  del  comma  vigente  al  momento della
modifica  dell'art. 722; con la conseguenza che, ai fini della durata
della  custodia  cautelare all'estero, non solo non sarebbe rilevante
la   distinzione   tra  termini  finali  di  fase  e  termine  finale
complessivo,   ma   quest'ultimo  dovrebbe  essere  ancora  calcolato
esclusivamente  con  riferimento  ai  due  terzi  della  pena massima
prevista  per il reato contestato o ritenuto in sentenza (e non, come
da ultimo stabilito, con riferimento ai termini di durata complessiva
previsti  dall'art.  303,  comma  4,  cod. proc. pen. aumentati della
meta'  ovvero,  solo  se piu' favorevole, al limite dei due terzi del
massimo della pena prevista per il reato contestato).
    4.  - Le vicende legislative degli artt. 722 e 304, comma 6, cod.
proc.  pen.;  la  decisione  di  questa  Corte  che,  con riferimento
all'art.  3  Cost.,  ha affermato, al fine di ritenere sussistente il
legittimo  impedimento  a  comparire, che la detenzione dell'imputato
all'estero,    concretando    comunque   «un   fatto   materiale   di
impossibilita'  a  comparire», non puo' essere «assunta a ragionevole
presupposto   di   una   diversita'  di  trattamento»  rispetto  alla
detenzione in Italia (sentenza n. 212 del 1974); la recente pronuncia
(n.  21035  del  2003)  con  cui  le  sezioni  unite  della  Corte di
cassazione,   conformemente   a   precedenti   relativi   alla  piena
fungibilita'  tra  la  custodia cautelare sofferta in Italia e quella
subita all'estero, hanno affermato che anche la detenzione all'estero
a fini di estradizione costituisce legittimo impedimento a comparire,
in  quanto  a  nulla  rileva  che  l'imputato  non  abbia prestato il
consenso  all'estradizione,  sono  tutti  elementi  che  concorrono a
dimostrare    l'illegittimita'    costituzionale   della   disciplina
censurata.
    In  effetti,  una  volta  affermata  l'equivalenza tra detenzione
cautelare  all'estero  in attesa di estradizione e custodia cautelare
in  Italia,  evidenti  motivi  di razionalita' e coerenza interna del
sistema  impongono di applicare alla custodia cautelare all'estero la
medesima  disciplina  prevista  per la durata dei termini di custodia
cautelare  in  Italia. In particolare, rientrando anche la detenzione
all'estero  tra  i  motivi  di  legittimo impedimento a comparire che
determinano  la  sospensione  del  decorso  dei  termini  di custodia
cautelare  previsti  dall'art.  304,  comma 1, lettera a), cod. proc.
pen.,  non  vi  e'  alcuna  ragione  che  possa  giustificare  per la
detenzione all'estero una disciplina diversa da quella prevista dagli
artt.  303  e 304, comma 6, cod. proc. pen. per la durata dei termini
massimi   della   custodia   cautelare   in  Italia.  L'irragionevole
disparita' di trattamento dell'imputato detenuto all'estero in attesa
di estradizione rispetto all'imputato in custodia cautelare in Italia
determina  quindi,  in riferimento all'art. 3 Cost., l'illegittimita'
costituzionale  dell'art. 722 cod. proc. pen., nella parte in cui non
prevede  che  la  custodia cautelare all'estero in conseguenza di una
domanda  di  estradizione  presentata dallo Stato sia computata anche
agli effetti della durata dei termini di fase previsti dall'art. 303,
commi 1, 2 e 3, dello stesso codice.
    Tale essendo la ratio decidendi della pronuncia presa dal Giudice
delle  leggi  in relazione alla disciplina dell'art. 722 c.p.p., pare
allora  a  questo  g.u.p.  che il testo di quest'ultima disposizione,
cosi'  come  risultante  a  seguito  di  quella  decisione, ben possa
fungere  adesso da tertium comparationis per sostenere che l'analoga,
ma  non  identica previsione contenuta nell'art. 33, legge n. 69/2005
non  appaia  conforme  all'art.  3  Cost.,  laddove  non  prevede  la
possibilita' di valorizzare la custodia cautelare all'estero anche ai
fini  del  computo  dei  termini  di fase della custodia stessa, come
invece  ora  sancisce  l'art. 722  c.p.p. per tutti gli altri casi di
estradizione dall'estero.
    E  in  ogni caso le ragioni poste a fondamento della declaratoria
di  illegittimita'  costituzionale  in relazione all'art. 722 c.p.p.,
sopra  riportate  e  da  intendersi  fatte proprie da questo giudice,
paiono  dover  valere anche rispetto all'art. 33 della ridetta legge,
non  sembrando  sufficiente  l'origine comunitaria della previsione a
giustificare  un differente trattamento sotto il profilo in esame dei
casi  di  estradizione assoggettati alla disciplina di cui alla legge
n. 69/2005.
    5.  -  Cio'  detto  circa  la  non  manifesta  infondatezza della
questione  di  legittimita'  costituzionale  postasi,  scontata e' la
rilevanza  della stessa in relazione alla fattispecie concreta, visto
che,  se  fosse  considerata  anche  la  pur breve custodia patita in
Spagna  ove  fu  catturato,  il  Caceres,  che oramai e' ristretto in
Italia  solo  per  questa  causa,  dovrebbe  essere liberato, essendo
decorso  alla  data  del 14 giugno 2006 il termine di fase di un anno
nella  specie  applicabile a far data dalla cattura in Spagna in data
15 giugno  2005  (dagli  atti,  infatti,  risulta  che,  prima che il
fascicolo del procedimento giungesse alla cognizione di questo g.u.p.
era  stato  preso,  invece,  in  considerazione  anche  nell'apposito
modello  in  atti come dies a quo di decorrenza della custodia quello
dell'arresto  in Italia, avvenuto il 15 luglio 2006, e di conseguenza
reputandosi  in  scadenza  il  termine  in  questione  alla  data del
14 luglio 2006).
    6.   -  Tuttavia,  poiche'  la  questione  di  cui  sopra  si  e'
concretamente  posta  solo  dopo l'esercizio dell'azione penale ed il
procedimento  e'  ormai  giunto  in  fase  di cognizione di merito (a
seguito  di  ammissione  dell'imputato  al giudizio abbreviato da lui
richiesto),  la  sospensione  obbligatoria  del  procedimento dettata
dall'art. 23,  comma 2,  legge  11 marzo  1953,  n. 87,  puo'  essere
circoscritta  alla  parte  di  esso  che  riguarda la decisione sullo
status  libertatis  dell'imputato  sotto  il  profilo  cautelare, che
configura  in questa chiave un subprocedimento relativamente autonomo
rispetto  a quello di merito, nel quale non rileva direttamente detta
questione   incidentale   (circa   la   reciproca   indipendenza  tra
procedimento  di  merito  e  procedimento cautelare in sede penale e'
lecito  argomentare in tal senso da quanto deciso in Cass., sez. un.,
17 aprile 1996, n. 8, Vernengo).
    Invero,   e'  solamente  l'aspetto  del  giudizio  relativo  alla
decorrenza  o  meno del termine di durata della custodia, applicabile
alla  fase  anteriore a quella in corso, che non puo' essere definito
indipendentemente  dalla  risoluzione della questione di legittimita'
costituzionale  di  cui  sopra  ed  e'  percio'  unicamente su questo
profilo  che  e'  paralizzata la potestas judicandi di questo giudice
che procede.